domenica 25 maggio 2008

V2-day sì o no?

Oggi pomeriggio ho avuto un "incontro ravvicinato" con i grillini palermitani, impegnati nella raccolta di firme per il nuovo V-Day. La nuova edizione di questa iniziativa (25 aprile 08), che si sostiene sul passaparola della Rete, punta ad un attacco contro l'attuale situazione dell'informazione in Italia.
Questi gli obiettivi del V2-day:

- Abolizione dei finanziamenti pubblici all'editoria
- Abolizione dell'ordine dei giornalisti
- Abolizione della legge Gasparri

Parliamone.
Personalmente, sono piuttosto favorevole all'abolizione della Gasparri per una serie di motivi (approvata "di forza", respinta dal Presidente della Repubblica, bocciata dall'UE, di fatto è un pasticcio molto costoso, che viola i principi dell'antitrust e colpisce in modo non troppo velato il pluralismo). Sono ancor più favorevole all'abolizione dei finanziamenti pubblici all'editoria (vorrei che i soldi delle tasse che paghiamo venissero investiti MOOOLTO meglio).
Quello che mi lascia un pò perplesso è l'idea di abolire un ordine professionale. Non perchè non veda quali sono gli intrecci tra interessi economico-politici e situazione dell'informazione in Italia, ma perchè non credo che l'abolizione di un ordine professionale possa rappresentare una valida soluzione al problema.
Gli ordini nascono da esigenze molteplici; piuttosto che abolire un ordine, perchè non limitarne di fatto i poteri, ad esempio consentendo la nascita di ordini alternativi, l'iscrizione ai quali non sia vincolante per l'esercizio di una professione?
Cioè: superato l'esame di Stato per diventare, ad esempio, medico, perchè per esercitare la professione devo essere necessariamente iscritto all'ordine? E perchè non posso scegliere quale ordine mi rappresenta meglio, come per i sindacati?
I ragazzi al banchetto delle firme non sapevano cosa dire. E voi?

martedì 20 maggio 2008

L'ipocrisia dello Sport

Tra non molto avranno inizio i giochi olimpici, per la precisione la ventiquattresima edizione dei giochi da quando il barone Pierre de Coubertin li ha introdotti, per ricalcare quelli dell’antica Grecia.
I giochi per la precisione nascono per unificare le coscienze e per unire gli atleti in un cosiddetto “spirito sportivo”.
Certo mi rendo conto che questa visione de cubertiana dello sport è quantomeno utopica, vista la competitività raggiunta negli anni da questo evento sia a livello di marketing e di pubblicità ma soprattutto a livello atletico(competitività atletica a mio parere derivante, in parte dalle rivalità nazionali ma in realtà diretta conseguenza dei grandi premi in denaro che vengono dati agli atleti in caso di medaglie).
Alle prossime olimpiadi parteciperanno ben 193 paesi facenti parte delle nazioni unite di cui la maggior parte schierate contro la pena di morte, e pronte ogni qual volta sia necessario ad inorridire di fronte all’ennesimo omicidio da parte di uno stato americano, però non in grado di schierarsi in maniera netta e decisa nei confronti del tritacarne Cina.
Ora io personalmente ritengo assurdo prestarsi a una simile farsa, e incoerente mandare i nostri atleti a cantare l’inno di Mameli e a salutare il tricolore nella “Rossa” Cina.
Rossa come il suo regime Pseudo-comunista
Rossa del sangue dei monaci tibetani.
Rossa del sangue dei bambini morti sotto le scuole di cartone.
Rossa del sangue delle 22 persone che vengono giustiziate ogni giorno in carcere con processi sommari (per i 65 reati per cui è applicabile la pena di morte in cina).

lunedì 12 maggio 2008

Che tempo che fa? ...........brutto tempo, davvero brutto.

L'intervista a Marco Travaglio, fatta da Fazio nella sua trasmissione "che tempo che fa", ha fatto scoppiare lo scandalo. Tutto il mondo politico, fatta eccezione per il solito Di Pietro, si stringe attorno al povero Schifani e accusa a gran voce Fazio, e la RAI, di aver permesso una simile "diffamazione". Per l'esattezza l'accusa è di aver fatto parlare Travaglio senza un contradditorio in studio.

Il piccolo particolare che tutti sembrano voler ignorare è che per intervistare uno scrittore (in questo caso Travaglio era ospite in qualità di giornalista/scrittore) non serve un "contradditorio".... anche se l'intervistato di turno dovesse esprimere dei pareri politici faziosi. Se poi aggiungiamo che nel caso di Travaglio i pareri espressi sono ampiamente supportati dai fatti, e che comunque non da mai una botta al cerchio senza colpire anche la botte....

Una svista del mondo politico e del mondo dell'informazione direte voi...... purtroppo la mia impressione è ben peggiore. Purtroppo in certe dichiarazioni, in molti "casi mediatici", io vedo qualcosa di peggiore, vedo un sistema che sembra proteso a mettere a tacere certi fatti, molti fatti. La colpa più grave di Travaglio è proprio questa, ciò che dice è supportato dai fatti, noti o meno, ma comunque ampiamente documentati. Fate caso che nessuno si sta prendendo la briga di smentire le sue affermazioni, di smascherare le "faziosità" che avrebbero "diffamato" Schifani.
Non viene nemmeno specificata l'affermazione che avrebbe suscitato scandalo, nessuno si occupa di dire: "non è vero che Schifani abbia rapporti mafiosi....." magari portando addirittura qualche prova a disconferma.

Ma chi è Marco Travaglio? è un eroe rivoluzionario? è uno zorro che combatte il potere a colpi di fioretto? è uno showman che redirige i consensi da una parte o dall'altra? niente di tutto questo, per quanto possa capire lo sbigottimento generale, Marco Travaglio incarna quella che in Italia è ormai diventata una figura mitologica, ovvero "il Giornalista". Vi suona strano vero?! eppure è questo che dovrebbe fare un giornalista, riportare notizie documentabili....

domenica 11 maggio 2008

Il revisionismo dell'oblio

Il revisionismo dell’oblio

“Appuntamento alle cinque del mattino e si parte tutti per Torino”. Ho rifiutato subito l’invito a partecipare alla manifestazione pro Palestina prevista per Sabato 10 Maggio nel capoluogo piemontese. A dire il vero la prima sensazione è stata quella della solita protesta pseudo ideologica e antagonista organizzata dai centri sociali al grido di “viva la Palestina e morte a Israele”, intramezzato da cori tipici della sinistra più estrema. Ho creduto che fosse solo un modo come un altro di protestare, di quella protesta che il più delle volte si rivela effimera e fine a se stessa.

Ma il ripensamento non ha tardato a farsi strada tra le mie convinzioni; ad essere del tutto sinceri, i cori tipici da corteo ci sono stati, ma hanno rappresentato solamente il contorno più marginale ad una manifestazione che ha assunto il valore, non tanto di una accalorata protesta contro Israele (anche se foto con la bandiera dalla stella di Davide in fiamme erano presenti negli striscioni), ma di una testimonianza. Si dice e si pensa spesso che una manifestazione non serve a nulla. Certo non serve a nulla se da essa ci si attende un risultato immediato e tangibile. Ciò è chiaramente impossibile. Un manifestazione, però, come quella di Torino, è la rappresentanza di un popolo, quello palestinese, che si sente sotto occupazione.

Principio democratico è quello del contraddittorio, sempre e comunque, e se quei cinquemila manifestanti, pacifici, non avessero dato vita a quel corteo, tale contraddittorio sarebbe venuto a mancare e non avrebbe dato voce alla testimonianza e alla rappresentanza palestinese, facendo venire meno il rispetto di un elemento basilare dello spirito democratico. Questo corteo-rappresentanza ha avuto il merito di non far dimenticare che, sì Israele è una paese senza dubbio duramente contestato e minacciato, ma che un popolo, quello arabo palestinese, sta vivendo la tragedia storico-culturale dello sradicamento dalle proprie case e dalle proprie terre.

Chi può negare che di quella porzione di Medio Oriente i veri indigeni sono loro? Quando nacque lo Stato di Israele, nel 1948, quella terra già pullulava di presenze ebraiche, frutto di un’immigrazione pressoché ininterrotta a partire dagli anni venti del novecento, e ampliamente incoraggiata e sostenuta dai colonizzatori inglesi, i quali cominciano a modificare la loro politica a seguito dei ripetuti attentati terroristici contro di loro ad opera dei gruppi nazionalisti Irgun e poi Stern, di accesa fede sionista. Come negare dunque che anche gli israeliani sono stati a loro volta terroristi? Come negare che oggi migliaia di palestinesi, cacciati dalle loro case, di cui conservano ancora le chiavi nella speranza di un improbabile ritorno, vivono in campi profughi? E ancora, come negare che la comunità internazionale aveva scelto per Gerusalemme, contesa da arabi ed ebrei, la strada della neutralità sotto l’egida del controllo ONU, mentre invece vi si è installata la sede del Governo del neonato Stato di Israele, sordo ad ogni regolamentazione di tipo internazionale?

Alla luce di queste poche e forse anche banali considerazioni, io applaudo alla manifestazione di Torino, perché è stata un monito contro l’oblio della storia, perché non bisogna dimenticare mai, come insegna lo stesso Israele, e dimenticare la storia equivale a cambiarla, a volerla riscrivere e distorcere; il revisionismo è figlio dell’oblio e morte del libero pensiero.

venerdì 9 maggio 2008

Peppino Impastato 30 Anni

Oggi ricorre il triste anniversario della morte di Peppino Impastato. Voglio mandare un pensiero a lui e così a tutte le vittime della mafia, Morti e Vivi.

Editto sporco?

La settimana scorsa è accaduta una cosa particolare. L'Assessore alla Cultura del comune di Milano Vittorio Sgarbi è stato ospite alla trasmissione, condotta da Santoro, Annozero. Vittorio Sgarbi in passato si è reso protagonista di brutte pagine della televisione italiana. Le sue performances televisive, molto spesso oltre il limite della decenza, hanno fatto molto discutere. Nella puntata di Annozero del primo maggio Sgarbi ancora una volta a alzato la voce, ha impedito il normale svolgimento del programma. Le sue obiezioni erano oltremodo rabbiose e di questo non ci meravigliamo. Ma ci meravigliamo invece del fatto che le sue obiezioni fossero illogiche, forzate. Marco travaglio, ospite fisso del programma, ha controbattuto reiterate volte opponendo alle sue illazioni fatti certi. La cosa diventa particolarmente inquietante se consideriamo che è accaduta all'indomani delle elezioni che hanno affidato il paese nelle mani di Berlusconi. Quel Berlusconi che da Sofia emanò il suo diktat. La sensazione che oggi prevale è che dopo sei anni dal 18 aprile 2002 si sia tentato di fare saltare il programma. Lo stesso timore è stato confermato da Marco Travaglio, ospite a Crozza Italia, ha detto che probabilmente Sgarbi era stato mandato li per far saltare il programma, per essere cacciato, per creare un polverone. Non sapremo mai se così è stato, ma sappiamo che comunque Santoro ha fatto sfogare Sgarbi senza innervosirsi, senza perdere il controllo. Il polverone si è alzato lo stesso per le immagini del V2Day trasmesse durante la trasmissione ma non è bastato. Il programma è ancora li, la libertà di espressione anche. Siamo in attesa di nuove notizie, di nuovi attacchi.



Link Youtube:

Sgarbi ad Annozero
http://www.youtube.com/watch?v=P2-DAeFmFJY&feature=related#relatedVidsBody
http://www.youtube.com/watch?v=160gCYJEWfQ&feature=related
http://www.youtube.com/watch?v=R1YJxszP_6o&feature=related

Link Travaglio a Crozza Italia
http://www.youtube.com/watch?v=uuxtfbZGtDc

Chi sei....?

Chi sei…..?

Mi chiamo Daniele Poce, sono uno studente iscritto al 3° anno della facoltà di Architettura di Romatre; il mio intento è di canalizzare questo articolo in uno spunto di riflessione sulla concezione odierna della figura dello studente, ormai contestualizzata in un sistema che ha fondamento nel modello precostituito che noi tutti ben conosciamo; vorrei soffermarmi su questo modello per sottolinearne l’aspetto dottrinale e regolarizzato per poter raggiungere “tranquillamente” l’obiettivo-tappa della qualifica finale, e qualora ci fosse un deragliamento (con questo non intendo giustificare uno stile di vita ozioso) spetterà a noi recuperare il treno in corsa per non pagare un ulteriore rata consistente.

Non entro in merito alla questione economica, quello che invece intendevo esporre è la causa-effetto di questo sistema che ovviamente si esplica nella figura dello studente universitario; credo che terminati gli studi superiori con conseguente diploma di maturità, l’esser posti dinanzi la scelta di un indirizzo di settore al culmine di un’adolescenza, non costituisce una vera e propria scelta di vita (alla quale siamo chiamati per questioni temporali) basata sul riconoscimento e la valorizzazione delle proprie capacità; allo stesso tempo mi aspetto che la fase universitaria dovrebbe in qualche modo determinare una formazione autonoma e responsabile, stimolando una capacità critica della persona volta ad un miglioramento della suddetta questione, derivata da un rapporto binario di dialogo tra studenti e docenti, sulla base di una realtà ostile e complessa per la sua insensibilità ed indifferenza, accentuata nel mondo lavorativo.

Tutto ciò non credo avvenga per la maggior parte di noi (mi trovo a scrivere per riflettere anche nei miei riguardi), dal momento che l’università si presenta come un sistema di continuità scolastica in cui l’individuo è costretto ad affidarsi a ritmi imprescindibili, quali esoneri (equivalenti alle interrogazioni scolastiche), consegne nel mio caso (compiti in classe), persino ore di studio programmate al raggiungimento di un totale punti necessari alla conclusione dell’anno accademico, che solo in pochi riescono a portare a termine secondo i tempi prestabiliti, rinunciando alla “vita”.

A questo punto mi chiedo come può un ragazzo acquistare quel senso di autonomia che gli permetta di saper comprendere ed osservare la vera realtà, potersi confrontare, stimolarsi in situazioni anche diverse dal proprio iter di facoltà e vivere la vita in tutti i suoi aspetti?

Non è facile, o meglio questo aspetto non appartiene al modello precostituito; siamo tutti parte di un settore specifico ancor più determinato nella cosiddetta laurea specialistica (salviamo i vecchi ordinamenti!), siamo delle macchine o degli ingranaggi di una grande macchina nella quale nessuno in futuro saprà contestualizzarsi non avendo una conoscenza globale per farlo; l’università viene vissuta come struttura priva di dialogo al dì fuori di un circolo di argomenti che uniformano e accomunano, e non come identità comune nella quale al di fuori di una lezione ci si ferma ad apprezzarla, invece di correre oltre il tempo per non uscire dai binari…

Invito quindi tutti noi, docenti compresi, ad interrogarsi per ideare insieme soluzioni a questo sistema e per dare un senso definito alla nostra vita.

Pensare che nella società futura la parte studentesca costituirà una fusione con il mondo dei lavoratori, mi spinge a riflettere su chi siamo e cosa vogliamo, un fine necessario ed imprescindibile.

Scriveteci…

Daniele Poce

martedì 6 maggio 2008

Le "soluzioni" somale.

Si contano in migliaia le persone che in questi giorni scendono per le strade di Mogadiscio in un'eruzione di rabbia collettiva contro il continuo aumento del prezzo dei generi alimentari primari. Gli effetti delle politiche sul cibo adottate dalle potenze economiche del mondo cominciano a manifestare i loro effetti più devastanti. In Somalia, quello che oramai è uno "stato" solamente per le carte geografiche dopo la devastante guerra civile seguita alla destituzione del dittatore Siad Barre nel 1991, il prezzo del mais è passato dai 12 centesimi al chilo di gennaio ai 25 di oggi. Un aumento superiore al 100% in un così breve lasso di tempo. Il riso, altro alimento essenziale alla vita, nello stesso periodo è passato dai 26 dollari ai 47,50 per un sacco da 50 chilogrammi, un aumento di poco inferiore a quello del mais. A ciò si aggiunga che la moneta locale subisce una paurosa svalutazione su un dollaro già drammaticamente in crisi di suo, perdendo in brevissimo tempo circa la metà del suo valore. Questo ha fatto in modo che, per sopravvivere, la popolazione abbia fatto ampio ricorso a banconote false. Quella che era più facilmente riproducibile, la banconota da 1000 scellini, da poco non viene più accettata dai commercianti per paura di truffe. Da ciò la rabbiosa reazione della popolazione, cui le autorità di un governo che non ha nemmeno una capitale ufficiale hanno risposto schierando le truppe, le quali hanno avuto l'ordine di sparare sulla folla. I dati sulle vittime, morti e feriti, sono introvabili o comunque non riportate da fonti attendibili e, naturalmente, da giornali e televisioni. Dopo decenni di disastri, cominciati con la colonizzazione italiana e inglese, proseguiti con il foraggiamento di dittatori sanguinari e del tutto insensibili alle necessità di sviluppo del proprio Paese, perfezionati dalle politiche economiche imposte da organismi internazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, si è probabilmente trovata la soluzione per la Somalia e per l'Africa in generale: la morte di stenti, l'eliminazione fisica dei suoi abitanti (salvo coloro che il pane lo potrebbero comprare anche in America e in Europa perchè ricchi...). Si evidenzia come la politica attuale in materia alimentare sia usare il cibo come arma "contro" la povertà, non come risorsa da distribuire.
Per concludere, mi pare doveroso soffermarmi su un paio di questioni. Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno imposto alla Somalia e agli Stati africani nelle stesse condizioni critiche di incrementare le coltivazioni "remunerative" per l'esportazione al posto di produrre cibo. Per intenderci, al posto del grano il tabacco, al posto del mais il caffè, al posto del riso il cotone. Il nostro tabacco, il nostro caffè, il nostro cotone, da comprare a prezzi irrisori per "risanare" il debito con lo stesso FMI e la stessa Banca Mondiale e "adattarsi" alle regole di mercato. Lo sfruttamento intensivo della terra l'ha resa povera, l'utilizzazione massiccia di prodotti chimici per incrementare la produttività l'ha inquinata, il tutto mentre la popolazione soffriva di devastanti ed ovvie carestie. Nel 1989, prima dello scoppio della guerra civile, un alto funzionario dell'Unicef, Richard Jolly, sosteneva che questa politica per il risanamento del debito aveva causato 500.000 morti. Per capire questa cifra, basta pensare che nelle Torri Gemelle sono morte 11.000 persone e il tifone che in questi giorni ha investito la Birmania ha causato (forse) 30.000 vittime, meno di un decimo. Oggi, in una situazione decisamente più critica e del tutto fuori controllo, i morti quanti sono? Nessuno lo dice, nessuno lo pensa, nessuno lo scrive. In compenso, visto che il grano non si coltiva più, la Somalia lo deve importare a prezzi sempre più alti, amplificando la crisi, che assume caratteristiche apocalittiche anche perchè, tra le indicazioni dell'FMI e della Banca Mondiale, c'è il "suggerimento" di tagliare tutte le spese inutili al risanamento del debito: sanità, scuola e, naturalmente, i sussudi all'agricoltura.

 
Add to Technorati Favorites